lunedì 3 aprile 2017

MAREMONTANA 2017

Il giorno dopo una gara impegnativa è forse il momento più sincero per tirarne le somme.
Il dolore è ancora vivo, palpabile, ma un primo velo di mistificazione e di epicità neo romantica dell'impresa ne attenua i lati più acuti e placa le ferite (fisiche e non) più profonde.

Ammetto di aver un po' sottovalutato questa gara, peccando di carenza di allenamento generalizzata. Sono partito però con la consapevolezza che non avrei dovuto strafare, ripromettendomi di condurre la gara con un ritmo conservativo, cercando non il tempo ma lo svolgimento in scioltezza e con risparmio di forze, per arrivare al traguardo con l'idea di dover ancora percorrer trenta o quaranta chilometri e avere l'energie per poterlo fare.

Obiettivo centrato in parte.

Ha cominciato a mettermi li bastone tra le ruote il meteo, con previsioni pessime per il week-end e conseguente annullamento della gita al mare con la famiglia.
Siamo partiti quindi in quattro del mio team, arrivando a Loano sabato sera giusto per ritirare il pacco gara, tornare in camper a mangiare un po' di riso in bianco, e poi dormire stipati e rumorosi con la sveglia puntata alle 4.
Per tutta la notte siamo stati accompagnati da pioggia battente alternata a raffiche di vento che facevano ondeggiare decisamente il camper, non lasciando presagire niente di buono per il giorno dopo.
Alla partenza la pioggia si era placata, ma il cielo restava basso e grigio, con un'aria fredda e umida che scendeva dai monti verso i quali dovevamo dirigerci.

Sono partito comunque bene, tranquillo e regolare sulla spiaggia e il lungo mare, poi a passo ritmato e costante lungo la prima lunga cresta che si inoltrava nell'entroterra.
Primi 20 km in scioltezza, fino a raggiungere la parte più alta della gara dove inizia a piovere in modo deciso insieme a un vento gelido che fa crollare la temperatura percepita a pochi gradi.
Il terreno è una merda, fango e rivoli d'acqua rendono difficile stare in equilibrio, ma procedo ad un ritmo decente, che mi permetterebbe di concludere la gara in 10 ore (Mi ero prefissato un range dalle 10 alle 11 ore).
Arrivo al ristoro di metà percorso in forma, solo infreddolito e bagnato. Decido di mangiare della minestrina calda e di cambiarmi (Una signora dell'organizzazione ha dovuto aiutarmi a infilare la maglia termica perché con le mani intirizzite dal freddo non riuscivo!) perdendo un buon quarto d'ora, forse troppo.
Nel frattempo mi raggiunge un mio compagno di squadra, di solito più lento di me nel corto ma con più esperienza di lunghe distanze. Ripartiamo insieme, e con i vestiti asciutti e la pancia piena mi sento tranquillo e in forma, confortato dal cessare della pioggia.

Proseguiamo abbastanza bene, anche se i lunghi traversi scivolosi cominciano a crearmi fastidi al ginocchio destro. Le discese cominciano ad essere un problema, anche se il dolore a volte non si sente. Salita e falsi piani vanno comunque bene.
Passiamo tranquilli il ristoro dei 45 km, e qui di colpo comincia la crisi.

Forse la prima causa è psicologica. Il punto è al termine di una cresta da cui finalmente, dopo ore, vediamo il mare e il punto d'arrivo. L'illusione è che a questo punto si cominci a scendere, invece con stupore (e a causa della mia idiozia nel non aver studiato il percorso) facciamo inversione a U verso una ripida salita e ci inoltriamo per un brutto sentiero che sale e scende tra pietre e fango.

Nella salita comincio ad accusare stanchezza intensa e i primi disagi allo stomaco, nelle discese invece il ginocchio fa decisamente male e rende un supplizio andare avanti.
Cerco di controllare il battito e il ritmo nella salita, bevendo a piccoli sorsi e con costanza acqua pura alternata a sali. Funziona, fino alla fine non avrò problemi di alimentazione.
Andiamo molto piano però, anche il mio socio è provato.
La discesa finale inizia male per me, con un male acuto e continuo, poi aumentando il ritmo mi riprendo abbastanza bene.
Negli ultimi dieci chilometri ho recuperato parecchio, riprendo a correre anche in salita senza particolari problemi e potrei aumentare molto il ritmo, ma il mio compagno non ce la fa, e preferisco concludere con lui invece di guadagnare quei dieci/venti minuti che non fanno nessuna differenza alla fine.

Chiudiamo in 11h45', quasi in fondo alla classifica, ma un obiettivo l'ho centrato: mi sento abbastanza arzillo che potrei continuare ancora per un buon tratto.

In ogni caso non avrei dovuto soffrire così, o almeno con questa sofferenza avrei dovuto rientrare nelle 10 ore previste.
Perdere tempo in discesa è stata la cosa più penalizzante, e forse questo dolore al ginocchio è dovuto al terreno scivoloso e ai lunghi traversi nei quali la gamba è soggetta a molto sforzo di torsione.

Ma come fare a migliorare in modo deciso nell'arco di un paio di mesi?

Forse devo impegnarmi in lunghi e medi con dislivelli più importanti, e soprattutto attaccarli in modo deciso e non conservativo, per portare sempre al limite la resistenza fisica. Se poi "salto" e mi devo fermare tanto meglio, almeno mi abituo a farlo in allenamento e riesco a capire quando capita e la sequenza dei segnali di allarme.

E la gara in sé?
Bella Loano, bella l'organizzazione. 
Il percorso non male, anche se spesso si ha la sensazione che ti facciano girare come la merda nei tubi solo per rosicchiare distanza.

Da rifare solo con il bel tempo, e unito ad un sabato con la famiglia in spiaggia.







3 commenti:

Cristina ha detto...

Solo tantissima ammirazione, ho scoperto a Roma che vuol dire correre infreddoliti (di solito mi scaldo subito, ma da ultimo andavo troppo piano per scaldarmi!) e pensare a tutti i chilometri che hai fatto tu mi sembra incredibile! Appena mi passa questa fissa per le maratone cercherò anche io di intraprendere l'avventura del trail :)

nino ha detto...

quasi 12 ore sulle gambe ? tanta stima. e vero che non è come correre su strada ma sono pur sempre 12 ore.

spiritodeimonti ha detto...

In effetti mi manca il confronto con le 3-4 ore su asfalto. Mi riprometto sempre di cominciare a programmare una maratona... magari in autunno? :P